Ahhh che bello! L'articolo di cui avevamo bisogno. È da un po' che ci interroghiamo sul rapporto tra stampa e ristorazione. È da un po' che ci chiediamo perché nessuno scriva qualcosa. Si è parlato tanto di food-influencer/food-blogger ecc ... evidenziando giustamente la poca trasparenza e gli scarsi confini tra pubblicità-promozione-recensione. Da queste critiche però è stato escluso il settore del giornalismo definiamolo mainstream, che (è un dato di fatto) gioca altrettanto bene sull'ambiguità tra promozione, pubblicità e recensione genuina. Abbiamo la certezza che tanti contenuti sono note testate, non segnalati come promozione, siano frutto di accordi economici (piuttosto lauti) diretti o indiretti. Questo è un punto. Poi c'è chiaramente tutto il discorso che hai fatto te sulla "potenza di fuoco" mediatica e sulle pressioni ricattatore che sistematicamente vengono fatte (è giusto parlare di ostaggi). Le storie di Pepe e Dassie sono emerse perché sono persone a loro modo influenti, con una loro "potenza di fuoco" mediatica e soprattutto con le spalle coperte (ovvero, detta in soldoni, non hanno bisogno di accaparrare ulteriore clientela). A fronte dei Pepe e Dassie, però, c'è un modo di chef, pizzaioli, ristoratori che sono costretti ad "abbozzare" perché hanno bisogno di una buona stampa. Fondamentalmente per quello che dici te: l'utenza è la stessa. È necessario fare luce sui rapporti tra stampa, ristorazione e pizzeria. È un dovere nei confronti degli utenti/lettori. Ed è un dovere nei confronti di chi fa un ottimo lavoro di stampa, trasparente e corretto (tra l'altro non c'è un regolamento dell'Ordine dei Giornalisti che vieta pratiche pubblicitarie?). Chissà che non sia il tempo di tirar fuori il lavoro giornalistico di inchiesta anche nel mondo food... Ma ci vuole coraggio!
No, guarda, mi piacerebbe passare per il destinatario della frase "ah, finalmente qualcuno ha il coraggio di dirlo", ma la realtà è che non è così. Siamo in tanti da tempo a denunciare le storture di questo mondo, e l'argomento fu persino soggetto di una puntata di Report tantissimi anni fa. Anche se oggi la guarderei con occhi differenti, visto che ho capito il metodo con cui lavora Report e il suo palese anti-napoletanismo... sì, anche in quell'occasione si concentrarono sulla mia zona, ma non posso neanche dare loro torto visto che le magagne di cui parlo avvengono principalmente dalle mie parti. Ma il vostro commento, e anche l'esempio che ho riportato, dimostra come non sia solo da noi, anzi Roma è forse un'estensione più grande della realtà napoletana. Ma, ripeto, siamo in tanti ad averne parlato, chi anche con un pubblico decisamente più vasto del mio (uno tra tutti, Valerio Visintin). Ma siamo sempre una goccia nel mare, e denunciare questo sistema lascia il tempo che trova: perché è un sistema che fa gola a chi lo mette in piedi e a chi ne giova, anche se poi deve subire quei ricatti morali. Purtroppo non possiamo negare che guide e classifiche smuovano le masse, e non avete idea di quanti pizzaioli in privato mi hanno detto "abbiamo fatto accordi per entrarci pure noi". Ecco, poi chiaramente queste cose rimangono sempre inter nos, perché nessuno può dirle ad alta voce, men che meno scriverle, se no si becca querele. Non parliamo della cosa più terra terra, come quella di vendere articoli (c'è chi lo fa, ma lo fa a nero, quindi niente è tracciabile e tutto viene spacciato per autentico): parlo proprio di un sistema articolato e complesso per il quale tutto avviene alla luce del sole in maniera corretta, con un gioco di scatole cinesi, ed è tutto perfettamente legale. E quello di cui parliamo invece è il marcio che c'è dietro. Ed è un poco il segreto di Pulcinella, tutti lo sanno ma nessuno lo vuole dire ad alta voce. Comunque, anche levando gli interessi economici (su cui si potrebbe scrivere un'enciclopedia ma, di nuovo, senza prove alla mano sarebbero solo illazioni a rischio di querela), qui mi concentro proprio sui rapporti individuali tra stampa e categoria tenuti insieme da quel filo di ricatto che espongo. E questo nessuno può negarlo, non c'è bisogno di prove tangibili. Perché se si segue l'ambiente è sotto gli occhi di tutti: basta aprirli!
Ti dico quello che sta succedendo in Portogallo: i giornalisti non contano nulla. La gente non legge i giornali, si basa su Instagram e TikTok per cui da lì prendono le notizie. Dei micro-influencers hanno un seguito di alcune migliaia di persone che riescono a dirottare in una direzione o un’altra (in concreto verso un posto piuttosto che un altro).
Questo sarebbe in effetti un altro argomento da affrontare: quanto conta la stampa rispetto agli influencer, in Italia? Gli dedicai pure un argomento a inizio anno scorso dove però mi concentravo di più sullo snobismo della vecchia guardia che guardava agli influencer come una massa di incompetenti che glri rubavano il lavoro e stavano ammazzando il giornalismo (quando, ovviamente, come per ogni cosa andrebbero fatti i dovuti distinguo).
Sai però che non mi dispiace questa cosa dei micro-influencer in Portogallo? Ma dimmi un po', si tratta di canali molto verticalizzati? Per esempio, il mio profilo sulla pizza su Instagram, da poche migliaia di persone, si collocherebbe proprio in quella categoria.
I micro-influencer sono strutture molto piccole, con cluster di persone divise sia "geograficamente" (la comunitá di expat e immigrati francesi, ad esempio, vive in una sorta di bolla dove frequentano quasi solo ristoranti di proprietari francesi, e girano fra loro. La comunità US-aleternativi si ritrova da "Tricky's" e insieme "migrano" verso gli altri ritstoranti degli stessi proprietari, ad esempio "Bar Alimentar", e cosí via).
Sempre più interessante. Ci hai mai scritto qualcosa? Oppure hai qualche articolo portoghese che ne parla? Che sia tu o altri, mi piacerebbe davvero approfondire.
No, non ne ho mai scritto-credo che sia una cosa che le agenzie di consulenza e comunicazione in Portogallo stiano usando da qualche tempo per far il boost dei locali che seguono, ma non ho prove/dettagli: essendo “micro” questi influencers spesso sono anche “privati” (nel profilo etc) e questi gruppi sono un po’ chiusi, per cui o li si intercetta per caso o, mi sa, niente.
Che buffo nell'articolo, si fa il nome di Pepe ma non di Pignataro. Segno che non si è esenti comunque da un certo pudore a fare nomi e cognomi.
Per quello che so, il rapporto di Pepe con Pignataro si era già guastato prima che ci fosse l'ex aequo (che quindi non è stato causa, ma effetto, e questo senza nulla togliere al bravissimo Martucci).
Di articoli velenosi verso Pepe del suddetto ce ne sono tanti, che lasciano perplessi. Più che altro perchè non sono su Pepe, ma su altri pizzaioli di cui si parla bene, ma in cui non si perde occasione per parlare male di Pepe.
quelli che fanno più tristezza sono quelli su Martucci: dovrebbe essere lo stesso Martucci a dirgli che non vuole che gli articoli su di lui siano il pretesto per parlare male di altri.
La chicca comunque è la pagina facebook di Martucci, in cui qualche giorno fa ha scritto un post con la futuro di marinara come foto (a più cotture, come noto) e il commento "Sento aria di dissing andato a male Da domani Vendo uva a volpi basse" e con il commento di Pignataro "Più che altro un rosicone travolto dalla cattiveria"...
Come ho detto nel disclaimer, avrei evitato "dove non fosse necessario" di fare nomi e cognomi perché non mi interessavano i dissing.
Forse la cosa non era chiara, ma era riferito ai giornalisti che, secondo l'ottica del mio pezzo, sono la "parte offensiva", laddove gli chef sono la parte lesa. È lo stesso motivo per cui ho fatto il nome di Dassie ma non di chi ha redatto l'articolo del Gambero Rosso (anche se, per chi vuole, può tranquillamente recuperare il nome dal link in fondo alla newsletter).
Dovendo riportare i due esempi sopra citati ho trovato poco sensato non fare i nomi degli chef, visto che erano i protagonisti delle due vicende raccontate. Non ho trovato comunque necessario dover fare quelli dei giornalisti proprio perché non volevo che sembrasse che questo pezzo fosse un attacco "ad personam". Come ho scritto, sono solo tra gli esempi più recenti individuati, ma di casistiche come queste ne potrei riportare a dozzine (e, tra l'altro, l'ho fatto più volte in passato).
Il gossip, la shitstorm, l'attacco individuale a me non interessano: a me interessa dipingere un quadro generale che riguarda più persone. Così come non mi interessano le beghe tra i pizzaioli che onestamente trovo molto ridicole. Riportare i post come quello da te segnalato di Martucci per me rientra nell'aneddotica del pettegolezzo, e a mio parere lascia il tempo che trova.
Sono d'accordo però anche io sul fatto che se fossi un professionista mi darebbe fastidio che il mio nome fosse usato come pretesto per parlare male di altri. Ma qui ritorna il discorso che a molti pizzaioli fa solo gioco che si parli di loro: rientra in quella voglia di visibilità che poi diventa il laccio di quella trappola di cui finiscono ostaggio.
E d'altronde, fino a che si tratta di allusioni velate e non offese dirette, un giornalista può scrivere quello che vuole, e non glielo si può impedire. Viene meno la sua deontologia? Dal mio parere sì ma anche questo, come tutti gli altri che esprimo, è un mio punto di vista.
Innanzitutto grazie. Non voleva essere una critica nei tuoi confronti, sia chiaro.
Mi sembrava però significativo che tutto sommato nominavamo i pizzaioli ma non i giornalisti e, visto che peraltro l'articolo si interroga sul ruolo di pizzaioli "ostaggi" dei giornalisti, mi sembrava tutto sommato che non nominare questi ultimi fosse un favore non dovuto che facevamo a loro. Ma era una battuta fatta per inciso.
Concordo con quello che scrivi, anche sulle beghe, e faccio mea culpa sul pettegolezzo, che ho citato solo perché significativo di quello che volevo dire.
Per aggiungere una cosa, nel tuo articolo ne fai cenno, però ecco, credo che, almeno per una percentuale, queste simpatie/antipatie derivano anche da quanto il pizzaiolo/chef di turno si mostri accondiscendente alle offerte che il giornalista fa. Sia chiaro, nessuno è innocente: per un "ricatto" al quale il pizzaiolo non si piega, e poi ne paga le conseguenze, ci sono anche offerte alle quali non vedono l'ora di dire di sì, e che magari sollecitano pure, perché sanno che ne possono trarre vantaggio.
Assolutamente. Lo dico proprio esplicitamente che c'è un asservimento nei confronti dei giornalisti da parte dei professionisti di questo settore che non si vede in altra stampa di categoria. E che questo è uno degli elementi che caratterizzano questo rapporto malato e che porta addirittura i professionisti a parlare male dei propri colleghi per ingraziarsi il giornalista di turno, quando si creano le fazioni.
Ahhh che bello! L'articolo di cui avevamo bisogno. È da un po' che ci interroghiamo sul rapporto tra stampa e ristorazione. È da un po' che ci chiediamo perché nessuno scriva qualcosa. Si è parlato tanto di food-influencer/food-blogger ecc ... evidenziando giustamente la poca trasparenza e gli scarsi confini tra pubblicità-promozione-recensione. Da queste critiche però è stato escluso il settore del giornalismo definiamolo mainstream, che (è un dato di fatto) gioca altrettanto bene sull'ambiguità tra promozione, pubblicità e recensione genuina. Abbiamo la certezza che tanti contenuti sono note testate, non segnalati come promozione, siano frutto di accordi economici (piuttosto lauti) diretti o indiretti. Questo è un punto. Poi c'è chiaramente tutto il discorso che hai fatto te sulla "potenza di fuoco" mediatica e sulle pressioni ricattatore che sistematicamente vengono fatte (è giusto parlare di ostaggi). Le storie di Pepe e Dassie sono emerse perché sono persone a loro modo influenti, con una loro "potenza di fuoco" mediatica e soprattutto con le spalle coperte (ovvero, detta in soldoni, non hanno bisogno di accaparrare ulteriore clientela). A fronte dei Pepe e Dassie, però, c'è un modo di chef, pizzaioli, ristoratori che sono costretti ad "abbozzare" perché hanno bisogno di una buona stampa. Fondamentalmente per quello che dici te: l'utenza è la stessa. È necessario fare luce sui rapporti tra stampa, ristorazione e pizzeria. È un dovere nei confronti degli utenti/lettori. Ed è un dovere nei confronti di chi fa un ottimo lavoro di stampa, trasparente e corretto (tra l'altro non c'è un regolamento dell'Ordine dei Giornalisti che vieta pratiche pubblicitarie?). Chissà che non sia il tempo di tirar fuori il lavoro giornalistico di inchiesta anche nel mondo food... Ma ci vuole coraggio!
No, guarda, mi piacerebbe passare per il destinatario della frase "ah, finalmente qualcuno ha il coraggio di dirlo", ma la realtà è che non è così. Siamo in tanti da tempo a denunciare le storture di questo mondo, e l'argomento fu persino soggetto di una puntata di Report tantissimi anni fa. Anche se oggi la guarderei con occhi differenti, visto che ho capito il metodo con cui lavora Report e il suo palese anti-napoletanismo... sì, anche in quell'occasione si concentrarono sulla mia zona, ma non posso neanche dare loro torto visto che le magagne di cui parlo avvengono principalmente dalle mie parti. Ma il vostro commento, e anche l'esempio che ho riportato, dimostra come non sia solo da noi, anzi Roma è forse un'estensione più grande della realtà napoletana. Ma, ripeto, siamo in tanti ad averne parlato, chi anche con un pubblico decisamente più vasto del mio (uno tra tutti, Valerio Visintin). Ma siamo sempre una goccia nel mare, e denunciare questo sistema lascia il tempo che trova: perché è un sistema che fa gola a chi lo mette in piedi e a chi ne giova, anche se poi deve subire quei ricatti morali. Purtroppo non possiamo negare che guide e classifiche smuovano le masse, e non avete idea di quanti pizzaioli in privato mi hanno detto "abbiamo fatto accordi per entrarci pure noi". Ecco, poi chiaramente queste cose rimangono sempre inter nos, perché nessuno può dirle ad alta voce, men che meno scriverle, se no si becca querele. Non parliamo della cosa più terra terra, come quella di vendere articoli (c'è chi lo fa, ma lo fa a nero, quindi niente è tracciabile e tutto viene spacciato per autentico): parlo proprio di un sistema articolato e complesso per il quale tutto avviene alla luce del sole in maniera corretta, con un gioco di scatole cinesi, ed è tutto perfettamente legale. E quello di cui parliamo invece è il marcio che c'è dietro. Ed è un poco il segreto di Pulcinella, tutti lo sanno ma nessuno lo vuole dire ad alta voce. Comunque, anche levando gli interessi economici (su cui si potrebbe scrivere un'enciclopedia ma, di nuovo, senza prove alla mano sarebbero solo illazioni a rischio di querela), qui mi concentro proprio sui rapporti individuali tra stampa e categoria tenuti insieme da quel filo di ricatto che espongo. E questo nessuno può negarlo, non c'è bisogno di prove tangibili. Perché se si segue l'ambiente è sotto gli occhi di tutti: basta aprirli!
Un bellissimo articolo. Come sempre del resto.
Ti dico quello che sta succedendo in Portogallo: i giornalisti non contano nulla. La gente non legge i giornali, si basa su Instagram e TikTok per cui da lì prendono le notizie. Dei micro-influencers hanno un seguito di alcune migliaia di persone che riescono a dirottare in una direzione o un’altra (in concreto verso un posto piuttosto che un altro).
Questo sarebbe in effetti un altro argomento da affrontare: quanto conta la stampa rispetto agli influencer, in Italia? Gli dedicai pure un argomento a inizio anno scorso dove però mi concentravo di più sullo snobismo della vecchia guardia che guardava agli influencer come una massa di incompetenti che glri rubavano il lavoro e stavano ammazzando il giornalismo (quando, ovviamente, come per ogni cosa andrebbero fatti i dovuti distinguo).
Sai però che non mi dispiace questa cosa dei micro-influencer in Portogallo? Ma dimmi un po', si tratta di canali molto verticalizzati? Per esempio, il mio profilo sulla pizza su Instagram, da poche migliaia di persone, si collocherebbe proprio in quella categoria.
PS: grazie sempre dei complimenti! :)
I micro-influencer sono strutture molto piccole, con cluster di persone divise sia "geograficamente" (la comunitá di expat e immigrati francesi, ad esempio, vive in una sorta di bolla dove frequentano quasi solo ristoranti di proprietari francesi, e girano fra loro. La comunità US-aleternativi si ritrova da "Tricky's" e insieme "migrano" verso gli altri ritstoranti degli stessi proprietari, ad esempio "Bar Alimentar", e cosí via).
:)
Sempre più interessante. Ci hai mai scritto qualcosa? Oppure hai qualche articolo portoghese che ne parla? Che sia tu o altri, mi piacerebbe davvero approfondire.
No, non ne ho mai scritto-credo che sia una cosa che le agenzie di consulenza e comunicazione in Portogallo stiano usando da qualche tempo per far il boost dei locali che seguono, ma non ho prove/dettagli: essendo “micro” questi influencers spesso sono anche “privati” (nel profilo etc) e questi gruppi sono un po’ chiusi, per cui o li si intercetta per caso o, mi sa, niente.
Che buffo nell'articolo, si fa il nome di Pepe ma non di Pignataro. Segno che non si è esenti comunque da un certo pudore a fare nomi e cognomi.
Per quello che so, il rapporto di Pepe con Pignataro si era già guastato prima che ci fosse l'ex aequo (che quindi non è stato causa, ma effetto, e questo senza nulla togliere al bravissimo Martucci).
Di articoli velenosi verso Pepe del suddetto ce ne sono tanti, che lasciano perplessi. Più che altro perchè non sono su Pepe, ma su altri pizzaioli di cui si parla bene, ma in cui non si perde occasione per parlare male di Pepe.
quelli che fanno più tristezza sono quelli su Martucci: dovrebbe essere lo stesso Martucci a dirgli che non vuole che gli articoli su di lui siano il pretesto per parlare male di altri.
La chicca comunque è la pagina facebook di Martucci, in cui qualche giorno fa ha scritto un post con la futuro di marinara come foto (a più cotture, come noto) e il commento "Sento aria di dissing andato a male Da domani Vendo uva a volpi basse" e con il commento di Pignataro "Più che altro un rosicone travolto dalla cattiveria"...
Ciao, grazie del commento.
Come ho detto nel disclaimer, avrei evitato "dove non fosse necessario" di fare nomi e cognomi perché non mi interessavano i dissing.
Forse la cosa non era chiara, ma era riferito ai giornalisti che, secondo l'ottica del mio pezzo, sono la "parte offensiva", laddove gli chef sono la parte lesa. È lo stesso motivo per cui ho fatto il nome di Dassie ma non di chi ha redatto l'articolo del Gambero Rosso (anche se, per chi vuole, può tranquillamente recuperare il nome dal link in fondo alla newsletter).
Dovendo riportare i due esempi sopra citati ho trovato poco sensato non fare i nomi degli chef, visto che erano i protagonisti delle due vicende raccontate. Non ho trovato comunque necessario dover fare quelli dei giornalisti proprio perché non volevo che sembrasse che questo pezzo fosse un attacco "ad personam". Come ho scritto, sono solo tra gli esempi più recenti individuati, ma di casistiche come queste ne potrei riportare a dozzine (e, tra l'altro, l'ho fatto più volte in passato).
Il gossip, la shitstorm, l'attacco individuale a me non interessano: a me interessa dipingere un quadro generale che riguarda più persone. Così come non mi interessano le beghe tra i pizzaioli che onestamente trovo molto ridicole. Riportare i post come quello da te segnalato di Martucci per me rientra nell'aneddotica del pettegolezzo, e a mio parere lascia il tempo che trova.
Sono d'accordo però anche io sul fatto che se fossi un professionista mi darebbe fastidio che il mio nome fosse usato come pretesto per parlare male di altri. Ma qui ritorna il discorso che a molti pizzaioli fa solo gioco che si parli di loro: rientra in quella voglia di visibilità che poi diventa il laccio di quella trappola di cui finiscono ostaggio.
E d'altronde, fino a che si tratta di allusioni velate e non offese dirette, un giornalista può scrivere quello che vuole, e non glielo si può impedire. Viene meno la sua deontologia? Dal mio parere sì ma anche questo, come tutti gli altri che esprimo, è un mio punto di vista.
Innanzitutto grazie. Non voleva essere una critica nei tuoi confronti, sia chiaro.
Mi sembrava però significativo che tutto sommato nominavamo i pizzaioli ma non i giornalisti e, visto che peraltro l'articolo si interroga sul ruolo di pizzaioli "ostaggi" dei giornalisti, mi sembrava tutto sommato che non nominare questi ultimi fosse un favore non dovuto che facevamo a loro. Ma era una battuta fatta per inciso.
Concordo con quello che scrivi, anche sulle beghe, e faccio mea culpa sul pettegolezzo, che ho citato solo perché significativo di quello che volevo dire.
Per aggiungere una cosa, nel tuo articolo ne fai cenno, però ecco, credo che, almeno per una percentuale, queste simpatie/antipatie derivano anche da quanto il pizzaiolo/chef di turno si mostri accondiscendente alle offerte che il giornalista fa. Sia chiaro, nessuno è innocente: per un "ricatto" al quale il pizzaiolo non si piega, e poi ne paga le conseguenze, ci sono anche offerte alle quali non vedono l'ora di dire di sì, e che magari sollecitano pure, perché sanno che ne possono trarre vantaggio.
Assolutamente. Lo dico proprio esplicitamente che c'è un asservimento nei confronti dei giornalisti da parte dei professionisti di questo settore che non si vede in altra stampa di categoria. E che questo è uno degli elementi che caratterizzano questo rapporto malato e che porta addirittura i professionisti a parlare male dei propri colleghi per ingraziarsi il giornalista di turno, quando si creano le fazioni.