
Ok, nel momento in cui comincio a scrivere questa newsletter non ho ben chiaro come lo voglio dire, ma ho sicuramente ben chiaro COSA voglio dire. E questa è la cosa più importante, tant’è che il titolo è stata subito l’unica certezza che ho avuto fin dall’inizio. Cominciamo, e vediamo che succede!
Occorre una dovuta premessa: generalmente parto sempre dal raccontare episodi singoli per trattare macroargomenti. Questo non significa che io faccia di tutta un’erba un fascio: gli episodi sono riportati a titolo d'esempio. Detto questo, cercherò di non fare nomi laddove non ce ne sia bisogno, perché quello che sicuramente detesto fare è puntare il dito o incoraggiare shitstorm. Se però dovessi in qualche modo non essere d’accordo sul mio modo di fare, ti invito a scrivermelo nei commenti.
EPISODIO 1
Franco Pepe, probabilmente il pizzaiolo più famoso al mondo, è stato recentemente ospite a una puntata di MasterChef come guest chef. Durante la puntata Pepe, per riprendere l’errore di una concorrente, fa un’affermazione sulla potenziale tossicità di ripassare una montanara (un impasto di pizza fritto) nel forno. Quest’affermazione viene ripresa da varie persone online per dire che il pizzaiolo ha detto una fesseria dal punto di vista tecnico. Non entro nel dettaglio, non ne ho le competenze: mi limito a condividere qui sotto un video del profilo di Giovanni Tesauro che spiega il fattaccio, anche perché sarà questa la chiave di volta del nostro racconto.
Il video in questione viene prelevato di peso e ricondiviso - tra l’altro senza crediti - da un seguito giornalista del settore gastronomico che si occupa principalmente di pizza, con la caption, molto neutrale, “Un esperto commenta una affermazione di Pepe a Masterchef”. Chi è nell’ambiente, sa che tra questo particolare giornalista e il pizzaiolo ci sono stati forti dissapori in passato che durano tutt’ora. E non ha potuto fare a meno di far notare nei commenti che mai prima aveva ricondiviso altri video di Tesauro, il quale più volte ha sbugiardato fesserie molto più grandi dette da tanti altri pizzaioli, essendo questo parte del suo format di divulgazione scientifica. La cosa si ripete anche su Facebook con un articolo confezionato ad hoc e rilanciato con un velato riferimento allo “scivolone” dello chef. A quanto pare, però, molti dei commenti che fanno notare l’incongruenza di questo atteggiamento da parte del giornalista vengono cancellati.
EPISODIO 2
Ci spostiamo nel mondo della gelateria. Durante la presentazione della guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso, il gelatiere Stefano Dassie, chiamato a ritirare il massimo conferimento dei Tre Coni, ha dichiarato al microfono di volervi rinunciare in quanto ritiene che i criteri della guida non siano trasparenti (per completezza di informazione: Dassie ha ricevuto e accettato lo stesso riconoscimento più volte negli anni precedenti).
Il giorno dopo la curatrice della guida pubblica un articolo sul Gambero per raccontare la vicenda, dicendo di averci voluto dormire sopra per superare il suo rammarico e poi dichiarare: “ok, rispettiamo il tuo dissenso, ma noi facciamo il nostro lavoro, e se ti riteniamo meritevole continueremo a metterti in guida”. Ma in una dichiarazione così limpida non sfuggono i toni di fastidio nei confronti di Dassie, accusato di aver voluto sfruttare il palco per - cito - prendersi “i suoi minuti di gloria” (espressione usata due volte) e la sua “voglia di visibilità”. L’articolo viene naturalmente ricondiviso su Facebook, dove la giornalista riceve numerosi commenti di supporto (mentre il gelatiere reo del gran rifiuto ne ottiene di poco lusinghieri). Per la cronaca: Dassie non viene mai menzionato per nome nell’articolo, ma viene definito genericamente, per l’appunto, “gelatiere”.
Ecco, questi sono due episodi molto recenti, avvenuti entrambi nelle ultime due settimane. Sono la classica punta di un massiccio iceberg che naviga da anni nell’oceano dei rapporti tra professionisti della gastronomia e giornalismo di settore. Un iceberg che, invece di sciogliersi, diventa sempre più grosso e rischia di far molto male ai malcapitati che dovessero incrociarlo.
Se è vero che ogni settore merceologico, ogni industria, ogni servizio ha la sua stampa di settore, probabilmente nessuno come quello della ristorazione ha un rapporto così malato tra i suoi professionisti e i relativi giornalisti. Soprattutto, in nessun settore si vede un rapporto di asservimento dei primi ai secondi in maniera così plateale, che arriva a punte di imbarazzo notevoli. Dinamiche che, tra l’altro, coinvolgono anche il pubblico, come vedremo più avanti.
Anche se non si è immersi in questo ambiente, si capisce benissimo come il tema del cibo in Italia sia cresciuto in maniera particolarmente rilevante dal punto di vista mediatico negli ultimi quindici anni. Il fenomeno dei celebrity chef non è di certo recente, ma è sicuramente diventato molto più attraente e mainstream, soprattutto con l’avvento dei social media: se infatti prima occorreva essere qualcuno di particolarmente scafato per andare in televisione, l’unico medium che davvero poteva darti una certa visibilità - e comunque solo all’ora di pranzo -, successivamente chef, pasticcieri e soprattutto pizzaioli hanno potuto veicolare la propria immagine lavorando da casa propria col telefono.
Questo è particolarmente vero nel settore pizza, che ha visto degli esempi di eccellenza da questo punto di vista (Gino Sorbillo in primis, a seguire Salvatore Lioniello e Vincenzo Capuano, e in tempi più recenti Errico Porzio), affiancati poi da tantissimi altri: ogni pizzaiolo carismatico e capace è stato in grado di costruirsi la sua reputazione, la sua audience e, di conseguenza, la sua fama. È anche uno dei motivi per cui la pizza si è conquistata negli anni uno spazio sempre più prepotente nei magazine di settore online e su carta, nelle guide, nelle classifiche, negli eventi e nelle fiere (quest’anno, per la prima volta, il SIGEP ha dedicato ben due padiglioni della fiera di Rimini al comparto pizza).
Mai come nell’ultimo periodo leggiamo così tanti articoli dedicati a pizzerie, ma soprattutto a pizzaioli. E se da un lato nel giornalismo è una corsa continua alla scoperta dell’ultima futura celebrità; dall’altro i pizzaioli fanno a gara ad accaparrarsi visibilità per attirare l’attenzione necessaria a ottenere quel trafiletto (eh, sì, molti arrivano a pagare i cosiddetti publiredazionali e spacciarli sui loro social come articoli prestigiosi, ma questo è un altro discorso). Nel mezzo, si colloca anche quel pubblico che ha imparato ad amare i suoi idoli di quartiere, e che segue volentieri le vicende della propria pizza star preferita, come una groupie ai concerti delle rock band.
Va da sé che in questo settore, più di qualsiasi altro, il giornalista ha un potere immenso sulla reputazione di un pizzaiolo. Ed è qui che assistiamo alla prima stortura: i rapporti individuali tra i due. La ristorazione è un settore i cui brand sono quasi sempre le persone stesse: difficile quindi che un giornalista non entri in contatto con gli chef. Parlare dei piatti non basta più, occorre raccontare le storie, i sogni, le speranze, i sacrifici e tutte le altre esse che fanno parte del meraviglioso storytelling del professionista di cucina. Il contatto diretto è perciò necessario.

E, siccome non si tratta di critica gastronomica, non c’è niente di negativo in quello che leggiamo, se non i drammi del classico viaggio dell’eroe che alla fine ha svoltato e ha raggiunto la sua meta: in pieno stile Hollywood i nostri protagonisti ce l’hanno fatta contro tutto e tutti (in qualsiasi momento della loro vita, eh, perché le lacrime e le fatiche appartengono sempre al passato) e quindi meritano che li si vada a trovare per premiare il loro operato ed entrare nel fan club. Gli eroi, di fronte a queste lodi sperticate, ringraziano i cantastorie con un profluvio di tag. I giornalisti gongolano perché la loro firma gira e acquisce autorevolezza (se sono in tanti a fare il tuo nome devi per forza essere uno importante, no?), finendo inevitabilmente sotto gli occhi di altri professionisti che vorranno invitarli alla loro tavola.
Il circoletto di amici cresce e si allarga, dagli articoli si passa alle guide, dalle guide alle classifiche. Queste diventano sempre più grosse, per cercare di accontentare tutti. Ma soprattutto per accontentare gli sponsor, che investono in questi progetti. Ed ecco che continuano a nascere premi, trofei, riconoscimenti: ognuno vuole una fetta della torta, e la complicità tra brand, giornalisti e cucinieri aumenta sempre di più (anche questo è un discorso in cui sarebbe meglio non addentrarsi, altrimenti usciamo troppo fuori traccia).
Ma che cosa succede quando qualcuno decide di non far parte di questo sistema? O, peggio, decide di chiamarsene fuori dopo averne fatto parte? È il caso di Stefano Dassie, come abbiamo visto. Ma anche di Franco Pepe, che ha deciso di non presentarsi più a ritirare il premio della classifica 50 Top Pizza dopo aver perso il primo posto nel 2020 - causa anche del dissapore con il giornalista, tra i curatori della classifica, di cui ho parlato all’inizio - e che vede ogni anno la sua posizione scendere sempre di più.
Ecco, quello che succede è esattamente quello che ho raccontato in questi due episodi d’esempio: gliela fanno pagare. I rappresentanti della stampa, feriti nell’orgoglio, utilizzano la loro arma più micidiale, la penna, per aizzare le tifoserie contro gli audaci offensori. Spesso queste sono costituite dai colleghi degli stessi professionisti - che hanno tutto l’interesse a ingraziarsi il giornalista di turno, soprattutto se vedono l’opportunità di un posto lasciato vacante in guide o classifiche - ma anche dal pubblico pagante. Non è un caso che prima ho detto che nella corsa alla continua ricerca di idoli il pubblico sia una componente fondamentale: perché l’utente finale del giornalista e del ristoratore è lo stesso. Coloro che portano traffico ai magazine o acquistano le guide sono anche coloro che si siedono ai tavoli.
Ma in questo gioco delle parti, la mano vincente ce l’ha sempre il giornalista. Perché ha dalla sua la potenza di fuoco della comunicazione: vuoi che sia quella della testata per cui scrive, vuoi che abbia un profilo social molto seguito. Difficilmente il professionista avrà quel seguito tale da riuscire a far raggiungere la propria voce a un vasto pubblico, che sia per fare una dichiarazione (come nel caso di Dassie, che ha pensato bene di usare il microfono che gli è stato messo a disposizione per esprimere il suo pensiero), o per ribattere a delle accuse più o meno velate. E di casi come questi ne abbiamo visti tanti nel corso degli anni. Ribadisco che quelli da me elencati sono solo gli esempi più recenti: ma di articoli ai danni di professionisti che non hanno voluto sottostare al gioco, scritti per ripicca ma dietro la scusa di “fare informazione”, ne sono stati pubblicati a bizzeffe.

Chiaro quindi che molti professionisti, di fronte a vicende del genere, ci pensino dieci volte prima di farsi nemica la stampa. Molti non hanno le spalle sufficientemente robuste per poter sottostare a questi ricatti: sono a tutti gli effetti ostaggio dei giornalisti, i quali sono ben consapevoli del potere che hanno tra le mani, e non si farebbero scrupoli a esercitarlo nei confronti di chi fa loro torto. Se avessi avuto un euro per ogni volta che un pizzaiolo mi ha detto “io purtroppo certe cose non posso postarle in pubblico, se no mi distruggono, ma quando ci vediamo da vicino ti racconto” ora mi sarei comprato la villa a Capri.
E, nel mezzo, ci sono anche i lettori stessi, ostaggi di un’informazione per niente pulita. Quelli che non sanno cosa succede dietro le quinte, leggono articoli non sempre frutto di obiettività. Quelli che conoscono il marcio dietro, devono capire quanto del contenuto che gli passa sotto gli occhi sia davvero affidabile. E quelli che invece tifano per i loro idoli come per le squadre di calcio diventano parte del rumore assordante causato dal circo mediatico che getta in pasto i ristoratori nell’arena.
Panem et circenses.
Disclaimer: nonostante i termini assolutistici di questo pezzo non ritengo per niente che tutto il mondo della carta stampata sia così malvagio. So bene che esistono tantissimi giornalisti che svolgono con passione, dedizione e competenza il proprio mestiere e che non corrispondono assolutamente al quadro demoniaco che ho dipinto. Lo so, perché fortunatamente li conosco. Ma so anche che le vicende che ho descritto avvengono con frequenza tale da poterne fare un discorso generale. Forse questo disclaimer avrei potuto metterlo all’inizio, o forse avrei dovuto usare costantemente espressioni del tipo “certuni e certaltri”. Ma così sarebbe stato più noioso, no?
TUTTI I LINK DI RIFERIMENTO
Il Gambero Rosso sul rifiuto di Dassie
Il SIGEP di Rimini
Il sito di 50 Top Pizza
LA PIZZA DELLA SETTIMANA
Donna Sofì, Casalecchio di Reno
Ogni volta che vado a Bologna sperimento una nuova pizzeria... Rigorosamente una alla volta perché il panorama bolognese non è ancora così ricco e variegato come altri grandi capoluoghi di Italia, e preferisco non bruciarmele tutte insieme.
Tra l'altro, anche questa volta mi sono dovuto spostare fuori per raggiungere un locale non lontano dalle mura cittadine: precisamente a Casalecchio di Reno, a poco più di venti minuti di auto. Qui si trova, la seconda sede di Donna Sofì, pizzeria e ristorante napoletano. Dico seconda, perché ce ne sarebbe un'altra in zona Borgo Panigale, ma mi sembra di capire che sia solo d'asporto.
Non so quale delle due sia nata prima, l'insegna della sede di Casalecchio riporta la data del 2015. Il locale è piuttosto isolato, in una zona residenziale affiancata da un ampio parcheggio (come sempre, prego!). Ma strapieno, e la nostra prenotazione del sabato sera ha quasi rischiato di saltare per un inconveniente di comunicazione.
Fortunatamente ci siamo seduti senza problemi, e siamo andati direttamente sulle nostre quattro pizze, più la classica Margherita d'assaggio. Superlativa la 4 Pomodori, in assoluto la mia preferita. Non sono un fan della salsiccia e friarielli, ciò nonostante ho apprezzato la qualità della carne usata. Sorprendente la Nerano, anche questa non una delle mie pizze preferite, ma le chips di zucchine combinate alla crema e alla provola hanno creato un mix gustoso ed equilibrato. E, di nuovo, non impazzisco nemmeno per la ricotta sulla pizza, ma i ciuffetti delicati che andavano a decorare la salsa della Ragù mi hanno deliziato non poco.
Purtroppo proprio la Margherita è stata la più deludente di tutte. E non parlo dell'esecuzione, la gestione del fiordilatte concentrato tutto al centro è discutibile ma in un sabato sera è perdonabile. Quanto proprio per il sapore, abbastanza insignificante. Un peccato, visto le altre.




Buon impasto, molto tradizionale, niente di memorabile ma che si fa mangiare senza troppi pensieri, e permette di concentrarsi sul gusto. Qualche difetto di cottura, come vedete nelle foto, ma anche questi tralasciabili. Piacevole anche la stesura, che vira verso il canotto senza raggiungerlo, rimanendo in un soddisfacente punto di mezzo tra la tradizionale e la contemporanea.
Una serata davvero gradevole, un locale dove consiglio di andare a chi cerca il gusto senza troppi fronzoli, e a costi accessibili (il prezzo massimo di una pizza qui è 12€). Un posto dove ritornerei più volte per una semplice serata tra amici, se vivessi a Bologna.
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Un bellissimo articolo. Come sempre del resto.
Ti dico quello che sta succedendo in Portogallo: i giornalisti non contano nulla. La gente non legge i giornali, si basa su Instagram e TikTok per cui da lì prendono le notizie. Dei micro-influencers hanno un seguito di alcune migliaia di persone che riescono a dirottare in una direzione o un’altra (in concreto verso un posto piuttosto che un altro).
Ahhh che bello! L'articolo di cui avevamo bisogno. È da un po' che ci interroghiamo sul rapporto tra stampa e ristorazione. È da un po' che ci chiediamo perché nessuno scriva qualcosa. Si è parlato tanto di food-influencer/food-blogger ecc ... evidenziando giustamente la poca trasparenza e gli scarsi confini tra pubblicità-promozione-recensione. Da queste critiche però è stato escluso il settore del giornalismo definiamolo mainstream, che (è un dato di fatto) gioca altrettanto bene sull'ambiguità tra promozione, pubblicità e recensione genuina. Abbiamo la certezza che tanti contenuti sono note testate, non segnalati come promozione, siano frutto di accordi economici (piuttosto lauti) diretti o indiretti. Questo è un punto. Poi c'è chiaramente tutto il discorso che hai fatto te sulla "potenza di fuoco" mediatica e sulle pressioni ricattatore che sistematicamente vengono fatte (è giusto parlare di ostaggi). Le storie di Pepe e Dassie sono emerse perché sono persone a loro modo influenti, con una loro "potenza di fuoco" mediatica e soprattutto con le spalle coperte (ovvero, detta in soldoni, non hanno bisogno di accaparrare ulteriore clientela). A fronte dei Pepe e Dassie, però, c'è un modo di chef, pizzaioli, ristoratori che sono costretti ad "abbozzare" perché hanno bisogno di una buona stampa. Fondamentalmente per quello che dici te: l'utenza è la stessa. È necessario fare luce sui rapporti tra stampa, ristorazione e pizzeria. È un dovere nei confronti degli utenti/lettori. Ed è un dovere nei confronti di chi fa un ottimo lavoro di stampa, trasparente e corretto (tra l'altro non c'è un regolamento dell'Ordine dei Giornalisti che vieta pratiche pubblicitarie?). Chissà che non sia il tempo di tirar fuori il lavoro giornalistico di inchiesta anche nel mondo food... Ma ci vuole coraggio!