Boicottare un'attività serve davvero a qualcosa?
E le associazioni tra pizza e criminalità
Ciao, sono Peppe, ed è un bel po’ che non ci sentiamo, ma tanto non credo che avrai sentito la mia mancanza (captatio benevolentiae per farmi scrivere nei commenti che “sì, l’hai sentita” e titillare il mio ego). Questa settimana è successo qualcosa di interessante che mi ha offerto qualche spunto per parlartene.
Questa settimana è successo qualcosa di grosso grosso: una pizzeria di Napoli è stata sequestrata dalla polizia in seguito a un’indagine che ne ha messo in risalto i legami con un clan di camorra.
E fin qui, ahinoi, niente di strano. Non è la prima volta che a Napoli - e non solo - si scopre che attività del comparto ristorazione o dell’industria gastronomica siano in realtà coperture per il riciclaggio di danaro o comunque gestite dai clan (tristemente note sono le infiltrazioni della camorra nella produzione e distribuzione della mozzarella di bufala).
Ma qui non si trattava di un’attività qualsiasi. La pizzeria Dal Presidente è uno dei capisaldi del centro storico di Napoli, in quella via dei Tribunali considerata un museo a cielo aperto della pizza, dove la concentrazioni di pizzerie è elevatissima. E la reputazione che si porta dietro è non tanto legata al prodotto - a mio modesto parere, mediocre - ma principalmente storica.
La pizzeria fu infatti fondata nel 2001 da Ernesto Cacialli, pizzaiolo in servizio alla pizzeria Di Matteo (distante appena qualche metro). Cacialli diventò particolarmente famoso quel fatidico luglio 1994 che vide Napoli ospitare il G7. L’allora presidente statunitense Bill Clinton si concesse una passeggiata nel centro storico, e si fermò alla pizzeria Di Matteo. Fu proprio lì che il pizzaiolo gli servì una pizza a portafoglio: il momento in cui il presidente addenta la specialità tipica dello street food partenopeo venne ritratto in una foto che diventò iconica.

Successivamente Cacialli lasciò la pizzeria per aprire il suo locale e marciare sulla popolarità di quell’episodio, chiamandolo Dal Presidente. A detta della figlia, Maria Cacialli, con cui parlammo per una puntata di Che Pizza - Il Podcast, in realtà il pizzaiolo aveva già quel soprannome ben prima dell’evento di Clinton; se fosse vero o meno non lo sapremo mai. Sta di fatto che Ernesto Cacialli non fu a lungo proprietario della pizzeria, dato che morì a soli sessant’anni.
La pizzeria venne poi acquisita dall’attuale proprietario, Massimiliano Di Caprio. Va infatti sottolineato che l’attività non è in alcun modo legata alle altre pizzerie che riportano un nome simile nel centro storico. Una è La figlia del presidente, gestita per l’appunto dalla figlia di Ernesto, Maria Cacialli. L’altra, gestita invece dal figlio Luigi, è Il figlio del presidente (sì, decisamente non una grande originalità nei nomi): nonostante i legami familiari, anche queste due pizzerie sono totalmente slegate tra di loro.
Se i legami con la criminalità di Massimiliano Di Caprio la dicono lunga sul personaggio, non è che questi non avesse mai fatto niente per farsi notare. Il titolare usava spesso il profilo della pizzeria per esprimere posizioni personali controverse, con una grammatica che lasciava molto a desiderare. Nel 2022 raggiunse il top con una dichiarazione esplicitamente omofoba in una sua storia:
Ascoltatemi bene a me non me ne fotte di consensi e di avere più clienti o di candidarmi in politica per avere voti e fare soldi io sono UOMO e non voglio offendere la legge di gesucristo che a creato uomo e donna e devo essere falso viscido e lecchino dei gay e delle lesbiche ,io amo e dico grazie a Dio che mi a creato uomo e uomo voglio morire a me questo cambiamento degrado che voi umani state accettando non lo condivido quindi per me siete dei pervertiti infelici e volete far sentire gli altri sbagliati e torturare i bambini che vi guardano in tv per strada destabilizzandoli ma nascondetevi che siete ridicoli per non dirvi altro.
[sic; su “destabilizzandoli” rimasi scioccato che tutte le lettere fossero al loro posto]
Fu allora che decisi di non frequentare più la pizzeria. Non che lo facessi regolarmente: in realtà ci ero stato solo una volta qualche mese prima. Ma, al di là del fatto che la pizza mi fosse piaciuta o meno, quelle affermazioni furono sufficienti per farmi decidere non solo di non metterci mai più piede, ma di condannare l’episodio vocalmente ogni volta che ce n’era l’opportunità. Se qualcuno mi chiedeva della pizzeria, o se solo ci passavo davanti con un amico da fuori, non potevo fare a meno di sottolineare le dichiarazioni del proprietario incoraggiando a starne alla larga.
Stessa cosa successe appena un anno prima. In regime pandemico, quando tutti eravamo constantemente in live con qualcuno, assistetti allo stream tra due pizzaioli molto popolari. Non posso riportare i nomi, perché a differenza della storia Instagram di Di Caprio che è stato screenshottata e pubblicata in numerosi articoli, di questa live non v’è più traccia, quindi rischierei la diffamazione. Ma, per chi ha bontà di credermi, il dialogo fu il seguente:
- “Amo’, io e te dobbiamo fare qualcosa assieme”
- ”Basta che non mi chiedi di venire a letto con te”
- ”Non ti preoccupare, frocio non lo sono ancora diventato”
Più che della battuta in sé, rimasi colpito dal fatto che nessuna delle migliaia di persone presenti in live e che commentava avesse avuto niente da ridire, nonostante io stessi lo feci notare con un commento. Anche allora mi dissi che nella pizzeria di quello che aveva usato un epiteto così poco gentile non ci sarei entrato mai più manco per sbaglio. Non una grande perdita, a dire il vero: l’unica esperienza che abbia avuto in quel locale fu decisamente deludente, nonostante fosse una delle pizzerie più celebrate di Napoli (e mi toccarono infatti due ore di attesa, una tortura che fortunatamente ho imparato a non subire mai più).
Ma il punto è proprio quello: quanto impatta sul business la decisione di una singola persona di boicottare un’attività? A conti fatti io sono un singolo cristiano: non un sindacalista, non un giornalista dal vasto pubblico, non una celebrità, non un influencer… Sì, ok, io posso anche decidere di non andarci e invitare quelli che mi stanno vicino a fare altrettanto. Ma sono una formichina, in confronto all’esercito di persone che fanno fatturare milioni a queste attività.
Ma mettiamo anche che riuscissi a convincere un numero significativo di persone tanto da creare un movimento. A chi starei facendo il danno? Al titolare colpevole del fattaccio, certo, ma come sempre non ci andrebbero di mezzo anche i suoi dipendenti innocenti? Perché poi, cosa è che si vorrebbe ottenere con un boicottaggio di questo tipo? La chiusura dell’attività? Una sorta di punizione che però ricadrebbe anche su tutta la filiera di cui fa parte quell’attività.
O le scuse del titolare, con la consapevolezza che potrebbero essere di circostanza, per nulla genuine, e nulla cambierà nel suo atteggiamento o modo di pensare? Di Caprio, per le sue dichiarazioni, ricevette una shitstorm non indifferente, con la consueta ricetta: insulti sui social e recensioni negative fasulle su TripAdvisor. Fece quindi marcia indietro, ma le sue parole sapevano di lacrime di coccodrillo condite dei più comuni stereotipi (“ho tanti amici gay”).
E in ultimo: “punire” il titolare di un’attività per aver fatto uso di un suo sacrosanto diritto, quello della libertà d’espressione, è giusto? Perché, almeno nei due casi da me presi in considerazione, di questo stiamo parlando. Non si parla di violenze sul personale, truffe al cliente, danni all’ambiente o altre attività illegali (chiaro, per quanto riguarda Di Caprio, mi riferisco a prima che l’indagine rivelasse i suoi legami con la camorra)… La scelta del boicottaggio è prettamente personale, ma ha senso suggerirla ad altre persone, che magari concordano sulla tua decisione, ma hanno un sistema di valori diverso?
Sul tema si è interrogata articolatamente anche
sulla sua newsletter che ti consiglio.Ho sempre associato il termine boicottaggio ad azioni collettive, di massa, che hanno in effetti un enorme impatto sull’attività che vogliono danneggiare. Ma il termine è appropriato anche se si tratta di un’azione individuale, la cui unica conseguenza reale è quella che il titolare non beneficierà del tuo denaro. Può sembrare poco? Sicuramente lo è. Ma se anche io stesso non ho una risposta alle domande che mi sono posto sopra, ritengo molto importante prendere una posizione che aderisca ai propri valori. E di farlo anche senza il timore di cadere in contraddizioni passate e future: non siamo eroi senza macchia e senza paura, per citare Roberta. Siamo esseri umani, sbagliamo e possiamo imparare dai nostri errori. E questo vale anche per chi compie azioni che noi riteniamo riprovevoli, nella speranza che possa rettificarle se comprende il danno che queste possono arrecare.
PIZZA CULTURA
Curiosità e fatti storici sulla pizza.
Ritorniamo alle incursioni della criminalità organizzata nel mondo food. Uno degli episodi storici più interessanti è legato proprio nel nome al nostro piatto preferito: l’operazione Pizza Connection.
Il termine si riferisce a un'indagine giudiziaria condotta dall'FBI negli Stati Uniti tra il 1979 e il 1984 sul traffico internazionale di droga tra la mafia siciliana e quella americana. L'operazione prese questo nome perché le pizzerie italo-americane svolgevano un ruolo centrale nel coprire le attività di spaccio e riciclaggio di denaro sporco. I boss mafiosi utilizzavano le pizzerie come punto di contatto principale negli Stati Uniti per il traffico di eroina.
Nel corso dell'indagine, l'FBI collaborò a più riprese con magistrati italiani come Giovanni Falcone e Giusto Sciacchitano, membri del pool antimafia di Palermo. L'operazione portò all'arresto di numerosi affiliati delle famiglie mafiose americane, come i Bonanno, e all'emissione di pesanti condanne. Un momento chiave fu l'arresto nel 1984 a Madrid del boss Gaetano Badalamenti, considerato il "punto di contatto principale negli Stati Uniti" per il traffico di droga. Complessivamente, l'indagine rivelò un vasto giro di narcotraffico che coinvolgeva Cosa Nostra sui due versanti dell’oceano.
L'indagine fu coordinata dal procuratore americano Rudolph Giuliani, che in seguito divenne sindaco di New York dal 1994 al 2001. L'operazione contribuì a lanciare la sua carriera politica e rafforzò la collaborazione tra FBI e magistratura italiana. All’operazione venne anche dedicato, nel 1985, un film diretto da Damiano Damiani, regista che firmò poi la prima serie de La piovra.
NEWSLETTER E CIBO
Avendo parlato di boicottaggio, non posso non citare una delle mie newsletter food preferite qui su Substack:
. scrive di caffè, ma le tematiche dei suoi articoli sono spesso focalizzate sulle condizioni dei lavoratori nel settore, le lotte sindacali e questione di etica sociale e ambientale.Gli ultimi due numeri della sua newsletter, alla quale ti consiglio caldamente di iscriverti, sono proprio dedicati all’impatto delle azioni di boicottaggio nella storia, e alle tattiche impiegate oggi.
TUTTI I LINK DI RIFERIMENTO
La storia della pizzeria Dal Presidente e i legami con la camorra
La storia del pizzaiolo Ernesto Cacialli
La figura di Massimiliano Di Caprio
Le offese omofobe di Di Caprio e successive ritrattazioni
I recenti giri d’affari della camorra nel business delle mozzarelle
Un pezzo di Roberto Saviano sui rapporti tra camorra e food
La voce di Wikipedia dedicata all’operazione Pizza Connection
*Per trasparenza, devo segnalare che alcuni di voi si sono in realtà iscritti all’altra mia newsletter inglese sulla pizza, che però al momento è in stasi per mancanza di tempo. Substack però la segnala nel mio profilo come pubblicazione di default. Vi ringrazio per la fiducia, e spero di riprenderla, ma per ora ho trasferito i vostri indirizzi nella newsletter italiana, sperando di farvi cosa gradita e di non commettere un illecito. :D
E PER CHIUDERE IN SIMPATIA…
“Boycott Sal’s!”. In Fa’ la cosa giusta di Spike Lee, Buggin’ Out vuole boicottare la pizzeria di Sal perché non ha nemmeno una fotografia di un afroamericano sul suo muro della Hall of Fame. La motivazione di Sal è che la parete è dedicata a icone italo-americane per celebrare le sue irogini. Ma Buggin’ Out fa notare che grossa parte del suo indotto deriva dagli afro-americani. Chi ha ragione?
Grazie di avermi letto.
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Mi chiamo Giuseppe A. D’Angelo, ma puoi chiamarmi Peppe: scrivo di pizza dal 2015 sul mio blog Pizza DIXIT e anche altrove. Dal 2021 conduco un podcast chiamato Che Pizza. Non faccio talk, non pubblico libri, non offro consulenze, non insegno in nessuna accademia: insomma, LinkedIn mi odierebbe.
Il rispetto vale più di tutto, anche della qualità dei prodotti che vendi. Verso i clienti e verso la comunità.
Preferisco andare a fare spesa da chi offre oltre ai suoi prodotti anche la cortesia e l'educazione e boicottare invece chi tratta i clienti con arroganza sulla base del principio che tanto altri clienti riempiranno il suo portafoglio. ;-)
ciao, capisco il tuo dubbio, dietro al titolare di un'azienda ci sono i suoi dipendenti, sono però altrettanto convinto della positività di un attivismo dei consumatori. In qualche modo, ne parlo involontariamente anche nella mia newsletter di questa settimana, della differenza che il singolo e una comunità di consumatori possono fare creando un mood culturale che faccia seguire di pari passo, dei cambiamenti da parte delle aziende. Ho scoperto, andando a ricercare, che Brayden King della Kellogg school of management ha studiato i casi di 133 boicottaggi avvenuti tra il 1990 e il 2005. E ha scoperto che un quarto delle aziende boicottate ha effettivamente modificato il proprio comportamento in risposta alle proteste. Qui l'articolo: https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2023/06/bud-light-boycott-consumer-effect/674446/