Ciao, sono Peppe, e tra i vari lavori che svolgo ogni tanto accompagno tour. La settimana scorsa ho portato alcune scolaresche del North Carolina in giro per il sud Italia, in un itinerario fighissimo tra Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Immancabile la sosta nella meravigliosa Matera, dove ho notato questa affissione.
Non sapevo che appena due anni fa, in pieno regime pandemico, si fosse svolto un raduno del G20 proprio tra la Puglia e la Basilicata. Nella città dei Sassi venne firmata la Dichiarazione di Matera sulla sicurezza alimentare, l’alimentazione ed i sistemi alimentari… e non aggiungo altro, perché in realtà il titolo è anche più chilometrico di così, ma per saperne di più puoi consultare le stesse fonti che ho consultato io per colmare la mia ignoranza: qui un testo della FAO, e qui un’intervista di chi sostiene che si tratta di una carta tutta principi e niente strategie. Non voglio fare quello che ne sa.
La dichiarazione si inserisce all’interno dell’obiettivo Fame Zero entro il 2030, di fronte a una popolazione mondiale che, seppure in crescita e migliori nel benessere, vede ancora 600 milioni di persone che “vanno a letto affamate”. Di nuovo, sto citando i link di cui sopra, e non ho intenzione di far finta che conosca un argomento di cui ho letto solo l’altroieri. Ma voglio usarlo come aggancio pretestuoso allo spunto iniziale di questa newsletter che si collega anche ad alcuni pezzi che ho letto nelle ultime settimane. In questa newsletter non si parla tanto di pizza, ma fra qualche giorno te ne manderò un’altra con le news e gli articoli interessanti dal mondo pizza delle ultime settimane: questa stava diventando troppo lunga, e ho preferito confezionarti qualche lettura sotto l’ombrellone in un numero dedicato.
I LUOGHI NASCOSTI NON ESISTONO PIÙ
Dicevo, il tour è sceso dal Lazio alla Puglia, e se nel passaggio ci siamo fermati in luoghi improbabili per un gruppo di americani, come Benevento, ci è voluto poco invece per riaffacciarci su località che ormai sono tra le più inflazionate del sud Italia. Non parlo tanto di Bari, che comunque da qualche anno a questa parte è stata riscoperta oltre quella fetta di turisti che vi approdano per caso tramite una crociera, mentre invece oggi la inseriscono volontariamente nelle loro rotte. Parlo delle ormai inflazionatissime Ostuni, Polignano e Alberobello, che in questi mesi sembrano fare un po’ fatica a contenere un afflusso di presenze che le trasforma in piccole metropoli.
Bisogna dire che nell’ultimo periodo la Puglia ha fatto un lavorone per promuovere il proprio turismo: già dieci anni fa, quando vivevo a Londra, ricordo le stazioni della Tube tappezzate con i manifesti turistici della regione. Non promozioni dell’Italia. Della Puglia. Altro che Open to Meraviglia.
Una bella botta di recente sembra averla data anche la serie Searching for Italy di Stanley Tucci, che pure è approdato a Bari. Con tutte le conseguenze che ben conosciamo: se da un lato le tre città menzionate poc’anzi sono un emblema dell’overtourism, dall’altro Bari sta già mostrando pesanti segnali di gentrificazione, con appartamenti valutati ormai in lingotti d’oro per la conversione che se ne può fare a uso turistico.
Un problema che conosciamo fin troppo bene e con cui facciamo i conti ormai da oltre un decennio, soprattutto con l’incremento dei voli low cost e delle piattaforme di booking. Ma va sottolineato che questo fenomeno tutto europeo solo da poco sta cominciando a interessare il sud Italia. Forse ce lo siamo dimenticati, ma l’intero macrocosmo meridionale - ad eccezione della Sicilia - era praticamente sconosciuto al resto del pianeta. La stessa Napoli, che da fiero cittadino ho sempre cercato di valorizzare agli occhi di un mondo che l’aveva dimenticata dagli anni ‘70 in poi, ha cominciato a godere di un vero e proprio boom turistico solo a partire dal 2016 in poi. E ora anche da noi si teme la gentrificazione che ha precedentemente colpito città come Barcellona.
Ritornando all’overtourism della Puglia, un pezzo interessante è quello di Stefania Leo su Cibo Today, che parla di rincari folli e prezzi ormai concepiti per gli stranieri e inaccessibili ai locals (per inciso, è questo il processo standard della gentrificazione ovunque), evidenziando il prezzo di una frisella a 10€ come cifra dell’assurdità. Spese poco sostenibili per molti degli italiani in vacanza, ma è un fenomeno che sta colpendo molte delle località nostrane un po’ dappertutto, non solo sulla costa. E non c’è bisogno di dare per forza la colpa agli stranieri, il grosso ce lo mettiamo anche noi: basta guardare al caso di Bologna, ma preferisco non andare troppo fuori argomento.
Un’alternativa alle spese pazze e al sovrappopolamento era una volta la montagna, da sempre meta rifugio di chi detesta il caldo estivo e preferisce fresco e quiete. Ma se già il riscaldamento globale sta facendo diventare il primo quasi un miraggio, la quiete ormai è andata a farsi benedire anche lì: molti piccoli borghi di montagna organizzano intensi calendari di eventi estivi, e quelle caratteristiche stradine marcate dai selciati in pietra diventano più trafficate della Tuscolana a mezzogiorno. A proposito della montagna in preda alla massificazione Lavinia Martini ha scritto un pezzo simpatico sulla sua newsletter (che però non riesco a linkare perché non è su Substack, ma puoi iscriverti qui… Lavinia, vieni tra noi, dai).
Per inteso, non sono contrario allo sviluppo del turismo, anzi, ho sempre apprezzato come le pro loco si siano sempre impegnate per rendere attrattive le proprie località d’estate; così come ho gioito quando la mia Napoli è improvvisamente tornata a far parte dei circuiti turistici. Ma se dove andiamo andiamo non possiamo fare a meno di essere circondati da esseri umani, è inutile sollevare gli occhi al cielo: la realtà è che siamo troppi. La popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi sul finire dell’anno scorso, nello stesso periodo in cui ha cominciato a farsi strada il termine di “revenge travel”, che ci porta a viaggiare compulsivamente in ogni dove per recuperare i due anni chiusi in casa. E, almeno in questo lato di pianetà, il posticino carino isolato del mondo fatica a resistere, perché basta un passaparola o il post di un influencer per attirare orde di locuste. Facciamocene una ragione.
NOVITÀ DAL MONDO DEI RIDER
Ci sono grossi movimenti all’orizzonte per i fattorini del cibo. L’Europa mira a dare un colpo netto a quelle piattaforme di delivery che, dietro la facciata della gig economy, impongono dei vincoli da lavoratore dipendente senza però tutte le tutele del caso.
La direttiva europea individua sette criteri per cui un lavoratore non si dovrebbe configurare come autonomo, ma subordinato all’azienda, tra cui la determinazione da parte della piattaforma dei limiti massimi di retribuzione, l’imposizione di un abbigliamento specifico, la supervisione del lavoro, la limitazione della facoltà di scelta degli orari di lavoro e dei giorni di assenza, la restrizione alla possibilità di rifiutare incarichi, di costruire la propria clientela o di svolgere prestazioni per la concorrenza. Se almeno tre di questi si presentano contemporaneamente, l’azienda sarebbe tenuta ad assumere il corriere con regolare contratto.
La direttiva è stata accolta positivamente da Just Eat, che già da tempo ha avviato una campagna di inquadramento dei suoi rider, con 2000 assunzioni previste in Italia entro il 2024. Meno da altre come Uber. La Cgil ha fatto notare come queste disposizioni siano facilmente aggirabili con un sistema ad aste che vede i fattorini accaparrarsi il lavoro offrendo il compenso più basso.
Un sistema che a quanto pare è già stato adottato in altri paesi d’Europa e che ora anche Alfonsino vuole introdurre in Italia con una piattaforma chiamata Rushers. Presentata come “l’AirBnB dei fattorini” mette in contatto aziende e rider che possono determinare il proprio prezzo, il luogo e l’orario di lavoro. Un sistema che mirerebbe a rendere i lavoratori “liberi e autonomi” ma che, lo dico senza mezzi termini, a me fa schifo. Bisogna essere ciechi per non capire che una piattaforma di questo tipo creerà una competizione al ribasso che vedrà il costo di una consegna calare sempre di più a discapito del mercato dei rider, ma a tutto vantaggio delle aziende che vedranno aumentare il loro margine di profitto. Purtroppo non si riesce a uscire dall’incubo dei marketplace.
Preferisco leggere di iniziative che mostrino interesse per le sorti del lavoratore. Come l’area Pit-Stop Riders che si è aperta al Bicocca Village di Milano. Uno spazio dove i corrieri possono sostare tra una consegna e l’altra con a disposizione torrette per ricare i telefoni, un banco attrezzi per la manutenzione dei loro mezzi e tanta acqua a disposizione (particolarmente importante in periodi estremi come l’ondata di calore che ci ha colpiti a luglio). Iniziativa davvero lodevole, che spero venga replicata in altre città, o in più punti della stessa città: mi ricorda molto i chioschetti di Londra che sono a uso e consumo esclusivo dei tassisti.
Ehi, ehi, ehi, non andare via! Se ti è piaciuta la newsletter lascia un cuoricino. Se non ti è piaciuta, scrivimi nei commenti perché. Vabbe’, fallo anche se ti è piaciuta. No, davvero, ci tengo: non tenerti tutto dentro per te, questi pezzi li condivido anche per sapere cosa ne pensi. E se hai amici appassionati di pizza fagliela conoscere.
Questa newsletter vuole anche essere un progetto collettivo. Se ti va di partecipare con un contributo scrivi pure a info@pizzadixit.com (e magari lascia anche un commento qui sotto, così sicuro non mi perdo la mail).
Grazie di aver letto fin qui.
Giuseppe A. D’Angelo: scrivo di pizza dal 2015 sul mio blog Pizza DIXIT e anche altrove. Dal 2021 conduco un podcast chiamato Che Pizza assieme al suo creatore Simon Cittati. Ho un gruppo Facebook chiamato Pizza Social. Nella vita mangio anche altro.