La bufala del World Pizza Day (che però bufala proprio non è)
e chi si inventa queste giornate sulla pizza
Ciao, sono Peppe, e tendo ad essere inutilmente pignolo. Non è questa la prima sede in cui discuto dell’assurdità di parlare di una Giornata Mondiale della Pizza. Ma lo faccio perché la mia visione delle cose fortunatamente non è statica, ed evolve nel tempo. E, a dispetto del passato, oggi non penso più che sia un’assurdità, ma una cosa fighissima.
Facciamo un passo indietro. Un paio di giorni fa, il 17 gennaio, abbiamo celebrato la Giornata Mondiale della Pizza. Se bazzichi su Instagram e il tuo topic preferito è il food non ti sarà sfuggito il nutrito numero di post a tema pizza col tag #worldpizzaday.
In realtà non esiste nessuna giornata ufficiale di questo tipo. Il 17 gennaio nasce come giornata mondiale del pizzaiolo. Anzi, pizzaiuolo, con la u, proprio come quello del riconoscimento UNESCO. La campagna per il Patrimonio dell’Umanità e questa festa hanno infatti un genitore comune: l’Associazione Verace Pizza Napoletana (anche se per la campagna UNESCO non erano da soli, ma anche con altre associazioni di categoria, ma vabbè, non deviamo dal discorso).
UNA PROFEZIA CHE SI AUTO-AVVERA
Si tratta di un’iniziativa lanciata nel 2018 proprio per cavalcare l’onda dei festeggiamenti del riconoscimento ottenuto in Corea del Sud. Antonio Pace, presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, ricordava come il giorno di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, fosse in passato una giornata di festa per i pizzaioli napoletani.
La festa di Sant’Antonio si celebra in tutta Italia con l’accensione di enormi falò nelle piazze di numerosi comuni. Come tante tradizioni religiosi cristiane, anche questa usanza ha origine in antichi rituali pagani legati alla vita contadina: l’accensione del fuoco simboleggiava il ciclo di rinascita agreste, che vedeva i contadini lasciarsi alle spalle il buio e spoglio inverno e augurarsi una florida primavera.
Nella conversione di questi riti al cristianesimo, si è affidato poi al santo egiziano l’onore di proteggere i contadini, e di legarlo alle feste dei focarazzi, o ceppi come vengono chiamati a Napoli e dintorni. Ed è proprio quest’associazione con il fuoco che nel tempo ha fatto associare la figura di Sant’Antonio a chi col fuoco ci lavora tutti i giorni: così Sant’Antonio Abate diventa patrono di fornai, panettieri e pizzaioli.
Va detto comunque che non è che esista un registro ufficiale dei patronati dei santi istituito dalla Chiesa. L’associazione di una particolare categoria avviene per tradizione orale, e accettata come un plebiscito popolare. Ed è la stessa cosa che è avvenuta con Sant’Antonio, o meglio, Sant’Antuono, come il santo è conosciuto in Campania.
Pace racconta che i pizzaioli napoletani in passato usavano festeggiare il giorno di Sant’Antuono terminando prima la giornata di lavoro, e poi andando a pranzo con le famiglie in zona Capodimonte e Colli Aminei, per concludere la giornata con il classico falò. Un’usanza che, a quanto pare, si sarebbe persa con il secondo dopoguerra. Per questo motivo si è deciso di rinverdire la tradizione – di cui, tra l’altro, occorre vedere se esistano testimonianze scritte – istituendo di nuovo il 17 gennaio come giornata del pizzaiuolo. Però, per l’appunto, pizzaiuolo è scritto con la u. Esattamente come nella nomenclatura del riconoscimento UNESCO. Perché fa sempre riferimento a una tradizione tutta locale, esclusivamente napoletana.
Quindi la giornata del pizzaiolo non è nemmeno nazionale, figuriamoci mondiale. Lo disse lo stesso Alfonso Pecoraro Scanio, promotore dell’iniziativa UNESCO: “è una ricorrenza riconosciuta dal comune di Napoli, ma noi dobbiamo impegnarci a fare sì che il 7 dicembre [data del riconoscimento UNESCO] e il 17 gennaio diventino un vero e proprio World Pizza Day“.
E di fatto così è stato. Tale è stata la massiccia campagna di comunicazione portata avanti dall’AVPN, che a conti fatti l’hashtag ha preso piede sancendo una sorta di accettazione per plebiscito questa volta globale. L’associazione ha potuto contare sull’enorme network globale di pizzaoli costruito nell’arco di 40 anni (proprio quest’anno festeggiano l’anniversario della nascita nel 1984), affiancandolo a un investimento maggiore nella comunicazione sui loro canali social.
Di questo parlammo proprio un paio di anni fa con Gianluca Liccardo, direttore marketing dell’AVPN, in cui ci raccontava come l’iniziativa del Vera Pizza Day, la giornata di festeggiamenti istituita dall’associazione, avesse lo scopo di traslare il festeggiamento dal mestiere del pizzaiolo a una sorta di riconoscimento del prodotto pizza napoletana per una specifica data in tutto il mondo.
LE ALTRE FESTE DELLA PIZZA
“Qui però ci scontriamo con date già esistenti” dice Gianluca quando gli chiedo se la giornata potesse diventare una celebrazione di pizza e pizzaioli a livello globale, non solo per quanto riguarda la pizza napoletana. Esistono già infatti altre festività certificate di questo tipo. Se la giornata del pizzaiuolo ufficialmente è riconosciuta solo dal comune di Napoli, gli interi Stati Uniti festeggiano il National Pizza Day il 9 febbraio. Nazionale, non so se mi spiego. Trecento e passa milioni di persone, non certo il circondario del Vesuvio.
L’ossessione americana per la pizza si esprime in migliaia di modi, e tra questi proprio la dedica continua di giornate tutte dedicate alle sue varianti. Oltre al celebratissimo National Pizza Day, contiamo a seguire: National Pizza Party Day il terzo venerdì di maggio; National Cheese Pizza Day il 5 settembre; National Pepperoni Pizza Day il 20 settembre; International Beer and Pizza Day il 9 ottobre; National Sausage Pizza Day l’11 settembre. E, il più bizzarro, il 12 novembre, National Pizza With the Works Except Anchovies Day (giorno della pizza con tutto quello che ci puoi mettere sopra, tranne le acciughe). Anche la famosa Deep Dish di Chicago ha la sua giornata il 5 aprile. E c’è persino il National Pi Day il 14 marzo, che con la pizza non ha niente a che fare, ma festeggia il pi greco: eppure gli americani sfruttano l’assonanza della pronuncia pi col termine “pie”, che negli Stati Uniti indica anche la pizza, per festeggiare il loro piatto preferito.
Una domanda che però una lettrice della newsletter mi ha fatto è: se non ci sono enti che ufficialmente stabiliscono queste ricorrenze, da dove nascono queste festività dedicate al cibo? Le risposte possono essere varie. Alle volte vengono lanciate scherzosamente da celebrità, e i loro fan le accolgono immediatamente facendole diventare un’istituzione. Altre sono promosse da giornalisti. Capita addirittura che ricevano un proclama presidenziale, come il National Walnut Day approvato da Eisenhower nel 1958, o il National Ice Cream Day proclamato da Reagan nel 1987. Molto spesso queste giornate sono istituite dalle aziende, per creare engagement o attenzione verso un loro prodotto: un esempio è proprio l’International Hawaiian Pizza Day, lanciato nel 2020 dall’azienda di forni domestici Ooni, per celebrare la data di nascita di Sam Panopoulos, inventore della pizza con l’ananas.
Il più delle volte, però, l’origine della ricorrenza si perde nel passato. A un certo punto la voce si spande e tutti cominciano a festeggiare celebrando con post sui social e relativi hashtag, ma nessuno sa bene perché. In passato ho provato a indagare sulle origini della ricorrenza più famosa, il National Pie Day del 9 febbraio. Ho contattato i curatori del sito National Day Calendar, probabilmente il più aggiornato per quanto riguarda tutte le bizzarre ricorrenze americane: purtroppo anche loro non sono stati in grado di darmi una risposta. Una ricerca cronologica su Google fornisce come primo risultato certo (e non viziato da aggiornamenti successivi delle pagine) questo post del 2007, in cui si dice che la catena Pizza Hut regala pizze per la Giornata Nazionale della Pizza: peccato che fosse il 1 maggio.
Ci sono però esempi anche di giornate del cibo riconosciute a livello “istituzionale”: ad esempio il 24 marzo è la Giornata Europea del Gelato. È poco conosciuta, e a conti fatti celebrata solo in Italia, ma è certificata dal Parlamento Europeo, che è anche lo stesso che rilascia le certificazioni STG (Specialità Tradizionale Garantita), proprio come quella della pizza napoletana. Quindi non è detto che un giorno non avremmo uno European Pizza Day: d'altronde le associazioni di categoria che promuovono la pizza napoletana sono le stesse che si sono coalizzate per ottenere il riconoscimento UNESCO e il disciplinare STG. La strada potrebbe già essere stata avviata e noi non lo sappiamo.
(Ah, in tutto questo Italia e Stati Uniti non sono gli unici a festeggiare la pizza: nello stato di San Paolo in Brasile si celebra il Dia da pizza il 10 luglio. La città di San Paolo, è conosciuta in Brasile come una mecca della pizza, con un numero di oltre 6.000 pizzerie, il più alto consumo di pizza al mondo come singola città, e la più grande comunità di italiani all’estero)
UNA PIZZA DI OLTRE 300 ANNI
In tutto questo io ho festeggiato il World Pizza Day (chiamiamolo così, dai) recandomi proprio a Capodimonte dove andavano i pizzaiuoli un tempo. Ma per un motivo ben preciso: il mio “falò” era l’accensione del forno per pizza settecentesco situato all’interno del parco.
Si tratta del forno che Ferdinando IV di Borbone volle installare all’interno del meraviglioso parco che circonda la reggia omonima. Esattamente, proprio quel palazzo reale location della leggenda che vuole la regina Margherita incontrare il pizzaiolo Raffaele Esposito che avrebbe inventato la pizza omaggiata col suo nome. Ma questo episodio è collocato nel 1889. Il forno di cui parlo risale ad almeno un secolo prima, quando Napoli era capitale del Regno delle Due Sicilie. Ben prima della dominaziona sabauda la pizza aveva già uno status regale, se vogliamo, proprio grazie a Ferdinando che si fece costruire il forno per potersi soddisfare quando voleva la voglia di quel piatto così amato dal popolo.
Il forno è stato restaurato nel 2016, ma solo da poco è diventato visibile al pubblico, grazie al ripristino del Giardino Torre, un felice agrumeto collocato all’interno del parco, attorno a una palazzina che era la residenza della servitù dell’epoca. Oggi fa spazio a uno dei due ristori Delizie Reali presenti all’interno del parco. Questo è un ristorante-pizzeria, dove al momento però la pizza è disponibile solo nei fine settimana, realizzata dal pizzaiolo Salvatore De Rinaldi. Che la fa con un forno professionale, eh. Il forno storico viene acceso solo per le occasioni speciali.
Speciale infatti è stato mangiare una pizza cotta in un forno di oltre trecento anni. Che comunque va ancora che è una bellezza: ci mette di più dei canonici 90 secondi per ultimare la cottura, ma il risultato è perfetto. Sono poche comunque le pizze presenti, in un menù così selezionato che le ho praticamente provate tutte nel giro di un paio di visite. La mia preferita resta la Margherita Giardino Torre, realizzata con un abbinamento di mozzarella e Antico Pomodoro di Napoli (un presidio Slow Food dalla coltivazione limitata). Ricordo che l’accoppiata tra i due ingredienti era presente sulla pizza già da fine Settecento, non era certo stata inventata in onore della regina. Probabilmente però il pomodoro veniva messo a pezzi, non passato in salsa. La pizza di Salvatore rende così omaggio alla storia (ma soprattutto al mio stomaco).
Ti lascio con il video sul mio profilo Instagram che in pochi secondi riprende lo spirito della festa dell’altroieri, la tradizionalità della pizza di Salvatore, la bellezza di una fiamma che scoppietta in un forno di oltre trecento anni, e la mia soddisfazione nell’addentare una fetta di storia.
Grazie di avermi letto.
Se ti è piaciuta la newsletter lascia un cuoricino.
Se non ti è piaciuta, scrivimi nei commenti perché.
Se pensi che i tuoi amici debbano sapere quanto io sia intelligente, fagliela leggere.
Se ti va di partecipare alla newsletter con un contributo scrivi pure a info@pizzadixit.com (e magari lascia anche un commento qui sotto, così sicuro non mi perdo la mail).
Mi chiamo Giuseppe A. D’Angelo, ma puoi chiamarmi Peppe: scrivo di pizza dal 2015 sul mio blog Pizza DIXIT e anche altrove. Dal 2021 conduco un podcast chiamato Che Pizza. Non faccio talk, non pubblico libri, non offro consulenze: insomma, LinkedIn mi odierebbe.
Ah...il Brasile!
Prima o poi ci andrò, pure a mangiare la pizza! :)