Ciao. Mi sono assentato per un bel po’. Assente giustificato, però, perché visto che l’esperienza del Pizza Expo di Las Vegas non mi è bastata nel frattempo sono stato anche al Parizza e a Parma.
Vabbè, non voglio stare qua a cercare scuse per non aver trovato tempo di scrivere. Però se proprio ne devo trovare una è che la campagna turistica Open to Meraviglia mi ha fatto perdere fiducia nel mondo. Personalmente, se proprio si doveva investire 9 milioni su una influencer virtuale che mangia la pizza come Chiara Ferragni, io i soldi li avrei dati davvero a lei: almeno lei ci fa fare il +27% e c’ha pure la pizza che le si rigenera.
Nel frattempo speravo di poter aprire questa mail festeggiando la vittoria di campionato del Napoli, ma la nostra generazione si è dimenticata di un’insegnamento fondamentale dei nostri nonni: mai festeggiare prima della vittoria, porta sfiga. Soprattutto se lo fai facendo uscire il giorno prima un video musicale cantato da Sorbillo.
Vabbè, di fesserie ne ho dette più del solito, direi di cominciare. Ah, un’altra cosa: i link alle notizie dal mondo e ai consigli di lettura te li sparo domenica prossima, che c’è un bel mesetto di roba interessante da recuperare e non voglio che questa mail diventi mastodontica.
È LA FINE DELLA BOLLA DELLA PIZZA?
Leggo questo interessante articolo del Gambero Rosso che dice che gli Americani si stanno disamorando della cucina italiana a favore di quella Tex-Mex. Neanche a farlo apposta, a Parigi parlo con il pizzaiolo Marco Casolla, titolare di una pizzeria a Toulon, che mi dice: “Qua si stanno stancando tutti della pizza, fra poco sarà il momento della cucina libanese”.
Allora, chiariamo una cosa: le mode sono passeggere per definizione, e questo è un fatto. Ed è assolutamente naturale che si vada sempre a caccia della novità successiva. Soprattutto nella cucina, soprattutto al giorno d’oggi.
Questo però non mette in crisi un intero comparto. Non è che l’industria della pizza improvvisamente vedrà crollare il suo fatturato o cesserà di esistere perché la gente comincerà a interessarsi ad altro. Sarebbe un po’ come dire che quando finirà la moda dei cinecomics la Marvel smetterà di vendere fumetti.
Ovviamente non è così. Parliamo di un’industria che esiste da più di un secolo, che muove un’economia milionaria a livello globale, e che ora come ora sta resistendo saldamente anche nonostante l’aumento dei prezzi causati dalla situazione geo-politica attuale. Vero è che, se usiamo come termine di paragone il boom di vendite che si è avuto durante i due anni della pandemia, falsiamo la percezione: si è trattato di un periodo particolarmente eccezionale che probabilmente non tornerà mai più, ed era inevitabile che quella crescita dovesse a un certo punto arrestarsi e subire una flessione.
È anche normale che la saturazione di un mercato porti all’annichilimento di quei piccoli attori che ci si sono inseriti improvvisamente senza un solido background: quelli davvero motivati resistono, altri falliranno miseramente lasciando in piedi chi poggiava già su fondamenta solide. Possiamo fare un semplice parallelo guardando ad esempio la marea di profili Instagram di panettieri e pizzaioli casalinghi molto validi fioriti durante il lockdown: una volta ritornati alla normalità, quanti di questi sono sopravvissuti?
Se proprio dobbiamo parlare di mode, le dobbiamo vedere all’interno dello stesso contesto. Non paragoniamo la pizza a un’altra tipologia di cucina, non ne ha bisogno e non sarebbe neanche giusto. Ha già i suoi trend da seguire. Ieri andava la pizza napoletana, oggi stiamo riscoprendo la pizza romana. Per quasi un decennio su Instagram hanno dominato i canotti, oggi ci si fa belli con la rota ‘e carretta più grande.
E poi non ha nemmenso senso dire che la pizza è in pericolo perché gli americani non hanno più tanto interesse per la cucina italiana. La pizza l’hanno inventata proprio gli americani: non lo sapevi?
L’EFFETTO PIZZA CHE FA ARRABBIARE I NAPOLETANI
Questa perlomeno è la teoria di Alberto Grandi, storico dell’alimentazione dell’Università di Parma. O meglio, questo è quello che tutti i giornali stanno cercando di fargli dire per montare su una bella polemica.
Grandi aveva già suscitato un bel vespaio l’anno scorso con l’uscita del podcast DOI - Denominazione di origine inventata, realizzato con Daniele Soffiati. Il podcast, giunto ormai alla terza stagione, approfondisce gli argomenti trattati dal libro omonimo pubblicato da Grandi nel 2020. Il soggetto è semplice: tutto quello che noi consideriamo parte di una millenaria tradizione gastronomica italiana risale nella migliore delle ipotesi ad appena un secolo fa.
Nel podcast e nel libro Grandi passa in rassegna diversi capisaldi della cucina italiana, e naturalmente non manca di menzionare la pizza, simbolo intoccabile del nostro stile di vita. Già il podcast aveva suscitato un bel po’ di diatribe tra gli appassionati l’anno scorso: celebre il dibattito, per l’appunto sulla pizza, con il meridionalista Angelo Forgione. Ma, dopo un chiarimento e alcune rettifiche, tutto si è risolto a tarallucci e vino.
A fine marzo, però, è uscito questo articolo del Financial Times che fa di nuovo il punto sulle ricerche storiche di Grandi intervistando il professore. Apriti cielo! Quale peggiore tempismo proprio nel momento in cui stiamo candidando la cucina italiana a patrimonio dell’umanità Unesco? La replica di Grandi alle polemiche sul Corriere non ha certo aiutato la sua causa, soprattutto con una frase epocale come “Finché è rimasta a Napoli la pizza è stata una grandissima schifezza”. Grandi è riuscito nell’intento - ammettiamolo, non proprio difficile quando si tratta di pizza - di sostituirsi a Briatore come nemico pubblico numero uno dei napoletani.
Naturalmente ci vuole poco a ridurre anni di ricerca e studi a delle frasi a effetto su un giornale che fanno male al cuore degli innamorati. Vallo a spiegare ai fanboy che Grandi non è completamente in errore quando dice che è grazie agli americani che la pizza si è diffusa nel mondo, e probabilmente anche in Italia: il cosiddetto Pizza Effect, ovvero “il fenomeno per cui elementi della cultura di una nazione o di un popolo vengono trasformati, o abbracciati più pienamente altrove, e successivamente reimportati nella loro cultura di origine” è ampiamente studiato e documentato.
Certo, anche io ho alcuni dubbi e perplessità su alcune delle argomentazioni di Grandi a proposito della pizza, e mi piacerebbe approfondirle. Per questo lo incontrerò a Mantova a fine maggio, durante il Food and Science Festival, per registrare con lui una puntata di Che Pizza - Il Podcast. Il professore ha gentilmente accettato di chiacchierare ai nostri microfoni, e non vedo l’ora di vedere cosa ne può uscire.
Concludo però con una nota: mi intristisce tantissimo il linciaggio mediatico che si assiste di fronte ad affermazioni del genere. Un conto è motivare alla controparte l’erroneità delle affermazioni con argomentazioni valide (un bell’esempio è questo articolo de L’indipendente). Un’altra è farla con toni arroganti e di dileggio, creando solo caciara. Ho letto articoli tremendi di attacchi contro Grandi (due in particolare, ma non li linko per non dare loro visibilità) e non è così che si porta avanti un dibattito, lo si ammazza solamente.
Odio fare quello che dice “noi italioti”, ma è innegabile che è tipico della nostra cultura nazionalista (o meglio, gastronazionalista) essere estremamente protettivi della nostra cultura e tradizione, e imbracciare gli scudi appena qualcuno cerca di scardinarle. E non posso invece fare e meno di notare l’atteggiamento diametralmente opposto di uno come Scott Wiener, appassionato e storico della pizza, che durante una conferenza al Pizza Expo ha mostrato enorme entusiasmo per l’articolo del Financial Times. Con quella curiosità inquisitrice tipicamente americana avrebbe desiderato mettere le mani sul suo libro, ma l’acquisto dagli States gli sarebbe costato troppo. Gli ho promesso che gliene avrei fatto avere una copia. Magari con l’autografo di Grandi.
PODCAST E CIBO
E visto che siamo in argomento, per la rubrica di podcast e cibo non posso che offrirti l’ascolto di DOI di Alberto Grandi e Daniele Soffiati, prodotto da OnePodcast. Ho già detto tutto, però, quindi ti lascio direttamente all’ascolto del trailer (della seconda stagione, perché quello della prima sembra non ci sia).
E PER CHIUDERE IN LEGGEREZZA…
Ti ho detto che i link alle notizie e letture interessanti li riservo per la prossima newsletter, credo di averti già fatto una testa tanta con gli sproloqui di quest’ultima. E difatti, voglio farmi perdonare con un video che ti farà ritrovare la pace dei sensi: una sequenza intera di Franco Pepe che crea un impasto da zero lavorandolo a mano nella sua madia. Dimmi se non è ipnotico.
Ehi, ehi, ehi, non andare via! Se ti è piaciuta la newsletter lascia un cuoricino. Se non ti è piaciuta, scrivi nei commenti perché. Vabbe’, fallo anche se ti è piaciuta. E se hai amici appassionati di pizza fagliela conoscere.
Questa newsletter vuole anche essere un progetto collettivo. Se ti va di partecipare con un contributo scrivi pure a info@pizzadixit.com (e magari lascia anche un commento qui sotto, così sicuro non mi perdo la mail).
Grazie di aver letto fin qui.
Giuseppe A. D’Angelo: scrivo di pizza dal 2015 sul mio blog Pizza DIXIT e occasionalmente su altre testate. Dal 2021 conduco un podcast chiamato Che Pizza assieme al suo creatore Simon Cittati. Ho un gruppo Facebook chiamato Pizza Social. Nella vita mangio anche altro.